Economia collaborativa e social networks per ripensare al modello di business

Sappiamo bene come quotidianamente le persone condividono conversazioni attraverso i canali social. Per quantificare queste affermazioni un dato su tutti chiarisce la portata della sfera relativa ai social networks: in Italia, il 94,5% della popolazione online è attiva sui social media. Il cambiamento di abitudini è estremamente radicato nel modo in cui agiamo ogni giorno, ed ovviamente nel modo di rapportaci con persone, aziende e mezzi d’informazione che gravitano nella galassia social.   Sopratutto la condivisione e la collaborazione stanno diventando parte della relazione tra marche e persone, con un impatto anche sulle modalità d’acquisto.

Questa evoluzione è oggetto dell’ultima analisi di Altimeter Group, presentata in giugno, intitolata “The Collaborative Economy”. Vengono evidenziati alcuni punti fondamentali, resi possibili grazie alla conversazione e alla condivisione “social”:

La tendenza, in crescita, delle persone a condividere sempre più servizi e prodotti ha portato alcuni brand a sperimentare alcune forme di economia collaborativa.

L’economia collaborativa include tre aree:

brand experience, le marche sono protagoniste di esperienze che si rifanno al concetto di intrattenimento;

customer experience,  le persone condividono con i brand le proprie idee e opinioni;

economia collaborativa, grazie a soluzioni social, navigazione mobile e pagamento innovativo le persone condividono esperienze, beni e servizi;

I motori dell’ economia collaborativa sono tre:

Social driver: aumento della popolazione, ricerca di sostenibilità, desiderio di condividere, tendenza generazionale all’altruismo;

Driver economici: monetizzazione dell’inventario extra o inutilizzato, aumento di flessibilità finanziaria, privilegio per l’accesso (più che il possesso), influsso positivo del funding da parte di venture capitalist;

Driver tecnologici: diffusione dei social network, penetrazione di piattaforme e device mobile, diffondersi di nuovi sistemi di pagamento;

Alcuni esempi di economia collaborativa già in atto da parte di alcune corporatiosns:

  • Microsoft Windows Chip In: gli amici e i parenti possono aiutare gli studenti a acquistare un PC Windows, attraverso un “crowdfounding” personale, in cui l’azienda contribuisce all’acquisto;
  • In California BMW e Toyota permettono di noleggiare le proprie auto dai rivenditori;
  • Barclays sponsorizza il servizio di bike sharing di Londra;
  • In Patagonia, in partnership con eBay, invita i clienti a comprare l’usato e a vendere ciò di cui non hanno bisogno;

Le aziende che vorranno sperimentare questi nuovi modelli progettuali dovranno dimostrare di aver capito la trasformazione in atto e dovranno essere disposte a rinnovare non solo il proprio modello di business, ma anche il modo in cui hanno fin qui visto il mercato e i propri consumatori. Perché le piattaforme collaborative crescono e si alimentano solo con la partecipazione dei cittadini e come tali rispondono alle logiche con cui si riuniscono le persone, e non a quelle che un’azienda è abituata a utilizzare. Funzionano quando mettono al centro l’esperienza, generatrice di un reale valore, invece che il prodotto; quando non si parla a clienti ma a membri di una community che si stimola, si rispetta, e si lascia libera; quando si agisce con trasparenza mettendoci la faccia se necessario; quando alla logica del click through, dei follower e dei like (volta cioè a misurare le performance e il ritorno sugli investimenti), si sostituiscono metriche che indicano l’impatto del servizio sul benessere delle persone. Quando insomma si fa cultura, nel senso ampio del termine, oltre che business. Perché è questo che vogliono i nuovi cittadini. Ed è quello che dovranno imparare a fare le aziende se vorranno davvero rispondere ai loro bisogni.

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