“E quindi uscimmo (insieme) a riveder le stelle”

L’attualità della Divina Commedia e di Dante, a 700 anni dalla sua morte.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

che la dritta via era smarrita.”

Inizia così il viaggio di Dante, che lo condurrà nei tre regni dell’Oltretomba, sotto la guida di Virgilio prima – allegoria della ragione umana – e Beatrice poi.

Siamo nel 1300 e Dante ha smarrito la “dritta via”, finendo in una selva oscura, allegoria del peccato e della perdizione. Più si incammina, più la selva si infittisce e diventa cupa e buia.

Già dai primi tre versi possiamo identificare più di un elemento chiave dell’intera opera: il concetto di “cammin”, il viaggio che compie il poeta fiorentino, l’aggettivo “nostra”, a indicare che questo è un percorso comune a tutti gli uomini, un’esperienza collettiva e, infine, l’idea che la strada era “smarrita” e non persa per sempre, a sottolineare che c’è sempre una speranza di salvezza.

Per tutta la prima Cantica, Virgilio conduce Dante nell’oscurità e nella paura, tra peccati e peccatori, scendendo fino al centro della Terra, dove incontrano Lucifero. È dal punto più basso che poi devono risalire, passando attraverso la “natural burella”, che li condurrà al Purgatorio e poi su, verso il Paradiso.

Dante lascia l’Inferno – simbolo di oscurità, inettitudine e immobilità – per il Purgatorio – luogo di espiazione e riflessione. Non è un caso che venga, infatti, descritto come una montagna. Il Purgatorio è un viaggio in salita, faticoso ma bellissimo, un cammino che ci porta dal basso verso l’alto, allontanandoci dalla Terra per ambire al cielo. È un’atmosfera diversa quella in cui si ritrova Dante, non più cupa e infernale ma rilassata e serena: è il regno della speranza, dell’amicizia ma soprattutto della consapevolezza.

Qui il poeta empatizza con i personaggi che incontra, che non sono destinati all’oblio eterno ma possono ambire al Paradiso, attraverso un percorso di redenzione e purificazione. Dante stesso è uno dei penitenti, un’anima pellegrina e la condizione comune, il “noi”, risalta.

La Commedia è un viaggio, un percorso, che termina con l’arrivo di Dante in Paradiso. A guidarlo in questo luogo etereo e aspirazione saranno Beatrice e San Bernardo da Chiaravalle. È a questo ultimo Regno che, secondo Dante, tutti dovrebbero ambire.

L’intera opera assume, quindi, un significato allegorico: un percorso di consapevolezza che ogni uomo può e deve compiere, un’ascesa personale.

Il mondo è cambiato molte volte, e sta cambiando di nuovo. Tutti noi dovremo adattarci a un nuovo modo di vivere, di lavorare e di creare relazioni. Ma come per tutti i cambiamenti è necessario affrontarli con la giusta consapevolezza.

E se dovessimo scegliere un verso della Divina Commedia, dopo l’Inferno che ci sia ritrovati ad affrontare, sarebbe sicuramente il 139 del canto XXXIV, che chiude l’Inferno. Dante e Virgilio si ritrovano a contemplare il cielo stellato dopo tanta oscurità e qui Dante manda un messaggio di speranza: passo dopo passo, anche la nostra notte oscura terminerà e potremo di nuovo vedere la luminosità di un cielo stellato sopra di noi.

Dante esalta la nostra umanità, la nostra capacità di resistere (come lui nell’Inferno), di agire (come nel Purgatorio) e di rinascere (come nel Paradiso) dopo ogni difficoltà e momento di sconforto, fino a condurci a “riveder le stelle”.